TESTI
CRITICI

… l'isola isolato in mezzo al mare circondata dal movimento ondeggiante calmo selvatico imprevedibile, circondata sempre, nero, rosso, giallo, fumo, crepaccio, crepacci nella terra - sola - ferma una punta sopravvissuta al di là del tempo l'unico contemporaneità - Il tempo l'unico cambiamento nel atteggiamento del uomo -

'Le isole Eolie tra leggenda e storia'
Leopoldo Zegami

18.09.2024 - CAMERA DEI DEPUTATI, COMPLESSO DI VICOLO VALDINA - ROMA 
dal 19 settembre al 24 settembre 2024

Di terra, di fuoco e vento

di Umberto Croppi

Conosco Petra da molti anni, una conoscenza mediata da rapporti familiari, una frequentazione amicale, con tratti di parallelismo esistenziale, non ultimo quello di figli più o meno coetanei.
Di lei ho conosciuto la sua energia e i tratti creativi presenti nella quotidianità di una vita a contatto con la terra, in uno degli angoli più belli e intatti della campagna italiana.
Sapevo, sapevo appena, delle sue giovanili esperienze artistiche e ne conoscevo la perizia nel maneggiare le tecniche della grafica e della fotografia.
La ritrovo ora, dopo qualche anno di silenzio, in una dimensione nuova, o, per meglio dire, fiorita di nuovo, come la rosa di Eliot, che lei cita ad incipit di questo suo lavoro.
Per leggere l’opera di Petra bisogna fare una premessa.
I percorsi tra fotografia e arte si intrecciano in maniera inscindibile in molteplici nodi. L’avvento di questa nuova tecnica, solo apparentemente oggettivante la riproduzione della realtà, ha fortemente condizionato le forme espressive delle arti fino ad allora conosciute. Sottraeva a queste il monopolio della rappresentazione, da un lato, e ne influenzava, dall’altro, l’estetica, liberandola dei vincoli di qualsiasi forma di realismo.
Col tempo la fotografia è entrata a pieno titolo a far parte del complesso delle arti. In un processo inverso che ha fatto sì che fosse questa ad appropriarsi dei linguaggi, ampliandoli, della figurazione, della modellazione.
Luci, ombre, prospettive, sensazioni, sono ingredienti comuni, ad attività che si basano sull’interpretazione e trascendono il valore documentario dell’immagine. Sono dunque molteplici i modi in cui i due mondi si incontrano.
È arte quella del fotografo che immette nelle forme più tipiche della sua attività, il paesaggio, il ritratto, un elemento personale che sa cogliere qualcosa in più rispetto a quello che l’obiettivo vede. Smette di essere illustrazione per entrare in altra dimensione.
È arte quella della composizione, della costruzione di un set, destinato ad essere fissato in una immagine.
Ma l’ambito in cui il fotogramma più si confonde con le altre forme espressive è quello in cui lo strumento sublima il suo oggetto cogliendone l’essenza, o una delle possibili essenze, ne cancella la forma per coglierne il contenuto: con un procedimento tipico della poesia trascende la materia per farne pura suggestione simbolica.
Questo l’autrice fa, trovando un minimo comune denominatore negli elementi che costituiscono il proprio ambiente di vita, l’ispirazione nasce dall’osservazione quotidiana della terra dissodata che nutre le piante del vigneto, zolle che custodiscono il segreto del tempo e dell’impegno umano. Brandelli che prendono forme, colori, disegnando paesaggi. Ognuno dei quali diventa paesaggio, di nuovo come la rosa di Eliot, la singola zolla diviene archetipo, universo di significati. E poi il legno, che dalla terra è nutrito, ne trae la magia dell’accrescimento, metafora di ogni vita. Il legno che scalda alla sua sola vista e dal calore viene riportato allo stato di polvere, alimentando il ciclo della vita.
E dunque la sintesi di questo processo, la combustione. Il fuoco che distruggendo crea, il fuoco che è divenuto il più fedele compagno dell’umanità, e il suo più insidioso nemico.
La fiamma che rapisce e affascina, che prende il suo spazio di luce nel buio, l’elemento instabile, indocile, che dev’essere costantemente domato, racchiuso, protetto per esserne protetti.
La gabbia in cui Petra lo contiene è quella dell’immagine, restituendone l’essenza eterea, gassosa, iridescente. Un fuoco “nero” dalle suggestioni gotiche.
E, in principio, il vento, a completare il ciclo degli elementi, quel moto circolare per cui «l’arte è transizione dalla natura alla cultura, e dalla cultura alla natura», secondo Friedrich Hölderlin, in «un’approssimazione infinita».
Nelle undici opere che compongono il suo racconto visivo l’autrice usa e fonde con la fotografia materiali diversi e diverse tecniche in un complesso coerente. la rappresentazione iconica fissata,
filtrata, dalla macchina fotografica diventa pittorica e poi tridimensionale, in quelle che lei definisce a giusto titolo “istallazioni” fotografiche.
La proposta che questa mostra ci offre non si presenta come un esperimento, un atto nuovo, ma costituisce il frutto di un lungo processo di decantazione, di affinamento, un sentire maturato attraverso gli anni dedicati alla famiglia e alla cura della terra. Percorso che mostra evidenti i segni dell’osservazione attenta delle cose, ma anche un lavoro interiore di elaborazione di energie che aspettavano di essere liberate.
Le stagioni della vita non sono necessariamente lineari, procedo per salti e per accumuli, lungo sinusoidi non prevedibili, però una vocazione una sensibilità, quando sono potenti, ne disegnano tappe e esiti.
E il risultato a cui l’autrice giunge è potente, come la matrice che attraverso lei lo ha generato.

dissodare

Marzo | Aprile 2012 - SPAZIO ELSA MORANTE - ROMA

GLI ITALIANI OSSERVATI DA UNA FOTOGRAFA OLANDESE

Identità Italiana - mostra con Maurizio [Pio] Rocchi

di Elena Provantini

Centocinquant’anni di storia. Molto ci sarebbe da dire per riempire un anno di celebrazioni, ma trecentosessantacinque giornate per tentare di farlo provano quanto sia difficile dire qualcosa, una cosa qualunque delle tante possibili, senza crollare nella retorica dei bei giorni di festa che troppo in fretta passano di mente. L’aggravante peggiore sta poi nel vizio, tutto italiano, di vivere la propria storia senza parteciparvi motu proprio se non per lasciarsi andare a quell’assurdo imbarazzo, divenuto quasi riflesso condizionato, che fa capolino nella nostra testa ogni qual volta si intenti un discorso sulla bandiera senza vederne appresso un campo da calcio. Orgogliosi si, ma solo se si parla di mettersi a sedere a tavola e il tricolore diviene, all’impronta, quel piatto di spaghetti che abbiamo di fronte. Poi, all’improvviso, giunge da lontano un ospite gradito che ci racconta chi siamo, ci prende per mano e ci legge la terra e il cielo che diamo per scontato e tutto torna nell’ordine corretto del valore. Petra de Goede, cresciuta artisticamente a Rotterdam, italiana oramai d'adozione, indaga l'intimo del nostro Paese, dalle arti agli elementi, dai volti alle espressioni semantiche, dall'io all'impronta della luce e del mare sul bagnasciuga.

"Per me - spiega l'artista - prima ancora di arrivare, l'Italia era il desiderio della luce" e, raccontando di sé, ci invita tra scatti incorniciati di bianco. Sono linee incandescenti, riverbero immobile sulla sabbia: in natura durerebbero l’istante del ritrarsi d’un onda, qui la fissità dell’immagine le vorrà in attesa per sempre. Il sole gioca a farsi d’argento sulla spiaggia, la risacca del mare più calmo la stende come una tela e, prima ancora che l’impronta di luce scompaia, torna un broccato di spuma leggera a ricomporla. La luce. L’istante. L’Italia. Non vi sono molti luoghi oltre questo, spiega l’artista, dove si riesca a vivere l’attimo tanto liberamente da non perdersi in dimensioni distanti, senza finire per sentirsi, in altre parole, costretti a spegnere contemplazioni incantevoli per progettualità necessariamente opportune.
La Bellezza, in Italia, riempie di senso anche l’assenza del fare. Ogni volto ritratto par dir di se stesso: “adesso ci sono”, “adesso ti amo”, “proprio ora il candore di questa mattina rende le cose a tal punto sconvolgenti che farsi travolgere dal desiderio così pienamente è facile e giusto come dimenticare o risolvere altrimenti se stessi e il proprio sentire più tardi”.

Non si tratta di facile voluttà passeggera, il momento presente non è membrana inconsistente tra prima e poi, è l’esistere stesso, l’attimo eterno che non si cura del poi perché vivere è già di per sé strumento perfetto del compiersi.
L’”io” che l’Italia esprime, secondo Petra, è protagonista assoluto di questo singolare approccio al tempo. È un “io” maiuscolo, consapevole, per nulla contratto nel vivere appieno la bellezza, la grazia imbandita così generosamente dalla terra.
Petra riflette sull'ordine gerarchico delle parole all'italiana, prepara tavole semantiche prima ancora di presentare foto. La lingua, spiega, rende meglio di qualunque altra cosa l’identità d’una nazione e quest’”io” italiano da cui tutto nasce e si ricrea è a tal punto regista centrale del nostro sentire le cose che solo dopo aver compreso individualmente il mondo permette a se stesso di
divenire “noi”. Petra è curiosa e osserva l’Italia come un’ospite ghiotta. Il calore, il sole, il colore e l'odore delle cose basterebbero a ricompensare la chimera d'un tempo lento, d'un ritmo instancabilmente allacciato a tradizioni e saperi mai al tramonto: l’Italia è l’origine.

Divertita ci confessa: “Nel mio paese, nel nord dell’Europa, ci sono solo due modi per risolvere problemi di depressione: andare in analisi o partire per l’Italia”.
Attraversando da nord a sud la penisola, lasciando semplicemente aperto un canale di ascolto, senza doversi sentire in obbligo di comprendere anche solo una sola parola della lingua, si può davvero riscoprire, secondo l’artista, la radice più profonda delle cose. Petra non è solo un’attenta osservatrice, quest’Italia che presenta e racconta è, per lei, molto più che un’indagine felice, un bel paesaggio di cui si può solo dir bene. Petra ama l’Italia e ogni creazione è diario sincero di questo sentimento appassionato.
Partecipa al divenire degli elementi, riconoscendo al nostro paese un primato d'archetipi che vorremmo non sottovalutare: la terra è bionda di sole al tramonto, l'acqua è cristallina, il fuoco accende i legni, l'aria fa cantare le foglie.
La roccia nuda torna alla vita e tocca i vertici del sacro: ‘La roche à fleur’ è l’anello da ricamo che ogni donna accoglie da bambina dalle dita di chi l’ha preceduta, è l’arte che non si apprende, è l’arte di vivere bene, allacciata strettamente alla terra, al dato mistico della propria esistenza di donna che per istinto sa che dalla propria carne verrà la vita.

Viaggiamo con l’artista, una foto alla volta, nel cosmo altro dell'italianità, quel complesso, unico nel suo genere, che definisce l'appartenenza al Paese prima ancora del sentirsi Nazione, per mezzo e tramite un sostantivo che non conosce paralleli nel vocabolario comune d'altre nazionalità. Fotografa le madri e le incastona in quadri rosso sangue: - È il colore della tradizione – spiega. Le donne italiane si raccontano tacendo, mostrando le loro case, le loro gonne, la pienezza delle carni, l’ordinario straordinario del vivere sulle proprie forze fertilità e tradizione, racconto e continuità, sogno e ritorno ad un tempo lontano, carico di canti e metriche latine.
L'Italia di Petra ha bisogno di dimensioni raccolte, mai cariche, mai gridate, perché una foto che occupi una parete intera correrà incontro al visitatore cercando comunque di forzarlo, mentre la scelta d’un cameo discreto, poco più grande d’una stampa da laboratorio, di quelle che ritiravamo con piena curiosità due tre giorni dopo aver consegnato un rullino finito, lascia che ci si avvicini a sbirciare, con la voglia di chi stringa in mano una lente e un gioiello, come si farebbe dalla serratura del giardino degli aranci.

aria

Maurizio Pio Rocchi s'accosta a questo narrare e vi si allaccia silenzioso, accogliendo i brani fotografici dell'artista olandese tra pennellate veloci e tricolore generoso. L’ospite non è più solo: al suo fianco arriva un protagonista nuovo che vive l’Italia quale italiano e diviene per Petra marito, consorte, famiglia. Maurizio completa il racconto iniziato o lo incomincia a modo suo da capo: l’uno cede all’altra metà del fraseggio d’amore e viceversa, restando in ascolto, tenendo in custodia metà delle pagine bianche. Nessun inizio. Nessuna fine. L’esposizione non conosce sensi obbligati o percorsi consigliati al pubblico. Se si entra dalle tavole semantiche di Petra si finisce nel colore di Maurizio. Se, al contrario, sarà lui a guidarvi, la parola cederà il passo al simbolo, la quercia diverrà verde tra rosso e bianco e il concetto verrà solo poi.
Tre colori per riflettere sul proprio Paese: nessun gesto, nessun volto, nessun progetto narrativo. Il simbolo di Maurizio è tutto: organizza, sintetizza, restituisce. Se torna più volte sulle tele non ha timore d’essere frainteso: prolunga il vibrare d’una stessa nota, semmai, o s’appropria generoso dell’eco per certificare oltre, quando una sola combinazione non basterebbe a rendere un fragore convulso di storie piccole che fanno la Storia maggiore, patrimonio di tutti. Bianco. Rosso. Verde. L'unione non è che tentativo d'equilibrio ritrovato lì dove parrebbe mancare, dove il ritmo regolare d'un equilibrio precedente va ora in frantumi. Spezzare per inventare il nuovo: ecco che gli elementi della bandiera s'incontrano, si compongono e si ricompongono di volta in volta sulla tela. I colori della nostra storia montano e smontano il proprio ordine naturale, ripensando alla propria sintonia quale status per nulla contrario al trascendente.

La quercia campeggia al centro, la quercia ritorna all’angolo, la quercia scompare per divenire tessuto: nessuna partecipazione ostentata o rigida, i ruoli s’abbracciano, respirano all’unisono da una tesi all’altra, da una tela alla successiva. Così, per nulla su dettato del caso, il rosso dell'artista romano si versa al centro d’un fondo bianco allacciato di querce. Il cerchio maturo freme da un lato e una fenditura nera ne spacca il corpo fiammeggiante: l’utero fecondo è pronto, uovo circolare su di un letto candido, coronato dal verde come dall’ alloro dell’Impero che fu dei trionfi. L’uomo. La donna. La maturità carica di seme. L’unione istintiva e necessaria. L’attesa gravida delle cose che verranno.
La vita che leggemmo dagli scatti di Petra si risolve nel tricolore che racconta il tutto dal simbolo primo: la gente, il senso del passato coi suoi lasciti preziosi, i figli e le madri, ogni cosa.

Racconta persino le speranze e le prospettive che ancora non sono, quando si veste d’un chimono bianco a base quadrata e vi s’avvolge sopra, quale rosso giapponese col verde solo in cornice. Capacità di ridefinirsi Nazione, col desiderio di ritrovarsi al centro del simbolo del Paese per eccellenza. Qualcuno crederà poco rispettoso presentare per se stessi e coi propri colori un parallelo, al contrario, tanto diretto alla bandiera di altri, ma qui, sulle tele e nei colori, c’è troppa cura, troppo amore perché qualche sinistra trappola imitativa possa scattare davvero a discapito del nostro comune sentire. Ripensarsi e sognare alfabeti nuovi per farlo, equilibri in ascesi continua e chiavi di lettura non comune, ha un sapore troppo “italiano” per pensare di poter davvero aver paura di perdere il centro. L’idea è solo desiderio di condivisione, anche quando il nostro rosso diviene troppo “giapponese”. Il ricordo, senza dubbio, torna allo Tsunami del Marzo che fu, l’anno scorso, quando aprivamo appena le celebrazioni del nostro centocinquantesimo anniversario di Unità nazionale e dall’altra parte del mondo ancora si viveva d’attesa e d’orrore. L’impresa tutta nipponica di ricondurre in tempi record alla normalità un Paese funestato dal cataclisma è il fotogramma successivo di quella serie nel ricordo collettivo di chiunque. Dipende dal carattere di una Nazione.

“...Non mi dispiacerebbe un’Italia più giapponese” confessa Maurizio, che confida nell’augurio d'una patria che sappia riconoscersi nel "Quadrato della Nazione", concetto caro ai pellerossa che così esprimevano la propria partecipazione, senza riserve, al destino comune e il proprio senso di comunità.

quiddità
quiddità

05.11.2011 - Magazzini della Lupa - TUSCANIA 

Acqua infuocata

vapore acqueo (visuale indistinta)
Italia 1988 - 2011

Gloeiend Water

damp (vaag uitzicht)
Olanda 1965 - 1988

dal 5 novembre al 27 novembre 2011

di Vincenza Fava

Una mostra affascinante e singolare in cui la fotografia diventa un dipinto scultoreo dell’animo umano in perenne ricerca della propria essenza e del proprio equilibrio. Di qui i due elementi naturali che, accostati, costituiscono apparentemente un ossimoro filosofico, ma anche emozionale: l’acqua e il fuoco, simboli di purificazione e rinascita, diventano gli archetipi per eccellenza dell’inconscio umano alla perenne ricerca del proprio “io puro”. L'artista olandese, trovando l’elemento di unione tra acqua e fuoco, ben riconoscibile nel vapore acqueo, riesce a superare l’antitesi per arrivare alla realizzazione di opere artistiche in cui il vapore, suggerisce una visuale indistinta delle cose, quasi a rappresentare il velo, le illusioni della nostra mente a contatto con la realtà circostante immersa nel Tempo, categoria di esperienza/effetto: le tracce degli eventi che vengono scolpiti ed elaborati nel nostro inconscio portano Petra de Goede a realizzare immagini e forme in cui il tempo diventa una priorità per l’evoluzione del nostro esser-ci, oltre le apparenze della Forma stessa. Evoluzione che viene ben trasmessa dai colori, toni e luci nordiche dell'opera 'Wezen' (una delle tante presenti in mostra), ovvero 'quiddità'. L'opera consiste in tre pannelli fotografati nel periodo 2005-2010 ad Haamstede, una delle più belle spiagge olandesi. "Per cinque anni sono tornata nello stesso posto, un posto che conosco da quando ero bambina. È uno dei varchi più lunghi per attraversare le dune, perciò non c'è quasi mai nessuno, qui il tempo sembra non esistere, l'acqua è immutata, i suoni sono gli stessi. Mi dà un grande senso di pace e fiducia. I pali fotografati sono pali con una posizione precisa; ci proteggono in quel punto, sono dei frangi onde. Sono forti, ma al tempo stesso mutabili, spariscono sotto la sabbia o cambiano nel tempo grazie all'influenza degli elementi" afferma l’artista. Il cerchio, simbolo della perfezione, la compiutezza (il desiderio) dei soggetti fotografati dall'artista, sono riconoscibili come forma definita. Eppure, portandosi oltre con lo sguardo, si cominciano a vedere frange irregolari che addolciscono il primo impatto e lasciano spazio all'approfondimento e alla fantasia dello spettatore divenendo quasi un mandala che riesce ad oltrepassare ogni significato ovvio e convenzionale. L'inquadratura dello stesso soggetto circolare muta completamente, cambiando posizione; con la visione frontale 'il pizzo' del contorno stimola la nostra mente e in più aggiunge colore. Il vento, l'acqua, il sole, la sabbia hanno avuto campo libero per lasciare le loro tracce. Il legno, una volta vivo, si lascia plasmare diventando una scultura naturale.

Totalità, Nel Aula di Marte e Venere

March - April 1995 - Sculpture Magazine 'reviews on Rome'

REVIEW ROME

… the work of several contemporary Dutch artists was exhibited in Rome galleries last fall. At the Luigi Di Sarro Gallery, Petra de Goede showed her small box constructions featuring miniature photographic installations of Roman historical sights, with simboli touches such as written words and spirale of brightly colored pigmenti. De Goede’s highly concettuale work links a spiritual sense to a particular place, such as the heat of the Ionian Islands’ volcanos, or the air coming through the center dome of the Pantheon.

Sherry Gaché

Centro Luigi Di Sarro Roma

10.1994 - Centro Luigi Di Sarro - Roma

L'Ottobre degli Olandesi

a cura di Jonathan Turner

...Petra de Goede, nella sua ricerca artistica, usa una grande varietà di materiali, puntando sopratutto a conferire una sorprendente tridimensionalità al mondo piatto della fotografia. I suoi lavori sono tecnicamente perfetti e ben messi a fuoco, costituiti da molteplici strati concettuali sovrapposti. Le sue sculture simili a piccole scatole o, meglio, le sue mini-istallazioni, sono composte da fotografie e da trasparenze colorate illuminate da dietro. L’artista crea oggetti, li porta in un luogo particolare e poi li fotografa. Queste immagini possono essere considerate un elemento della scultura. In questo modo 'de Goede' riesce a far riflettere sia sul processo artistico sia sui oggetti che ha scelto. A volte i suoi lavori hanno un apparenza neutrale, costituiscono la retrospettiva emotiva del temperamento caldo della storia mediterranea. Nell’aula di Marte e Venere ci sono cinque scatole fatte di legno di quercia, ognuna delle quali contiene una diapositiva che rappresenta una forma circolare illuminata da dietro, e che ha delle parole incise sulla cornice di piombo.
“Ho creato una serie di cerchi a spirale concatenati in colori diversi. Ogni colore è associato ad un luogo particolare: Pompei, Roma e Ostia. Ogni scatola non contiene soltanto il nome della località a cui si riferisce, ma anche una parola che secondo me collega tutto. Poi ho fotografato nei differenti posti questi cerchi a spirale, conferendo loro il ritmo della meditazione”. A Piazza del Popolo a Roma de Goede ha fotografato un cerchio posto nella vasca della fontana e poi ha inciso la parola ‘TOTALITÀ’ sulla cornice di piombo di questa immagine; ad Ostia Antica ha usato un frammento consumato di marmo come sfondo per un altro cerchio, scrivendo sopra ‘luce’.
Recentemente de Goede ha completato Apertura, II e III, tre immagini fotografiche di cristalli sulfurei riprese nelle località termali delle Isole Ioniche. Guardandoli dettagliatamente ed estrapolandoli dal loro ambiente circostante la dimensione di questi cristalli gialli risultano incerta. “Le isole Ioniche vengono chiamate anche le isole del vento. Il vento crea disegni sulla superficie dell’acqua, che muove e cancella costantemente. Alcuni cristalli e rocce sulfuree assomigliano a piccole rose, altri sono frammenti di grandi massi eruttati dei vulcani. È una sensazione calda, purificante”.
In un opera senza titolo tre paesaggi identici di montagne (rocce ndr) avvolte dalla nebbia sono impressi da colore giallo nelle forme di un quadrato e di una serie di cerchi disposti ad anello. Sembra che si tratti contemporaneamente di un rito e di una forma idolatria. In alternativa la de Goede scatta fotografie in bianco e nero di frammenti di marmo del foro romano, usando come sfondo dei blocchi de legno, e poi ricopre con un giallo luminoso la parete dietro di essi reinterpretando brillantemente la pittura preistorica.
L’opera di Petra de Goede ha una grande forza concettuale. In uno dei suoi lavori, una struttura di bronzo sostiene una diapositiva che rappresenta una forma circolare. Infatti si tratta di un’immagine dell’apertura circolare che si trova al centro della cupola del Pantheon.
In questo modo, nelle mani di Petra de Goede persino l’aria potrebbe diventare il soggetto plastico per una scultura.