"GLI ITALIANI OSSERVATI DA UNA FOTOGRAFA OLANDESE - Identità Italiana"
17 marzo - 1 aprile 2012
spazio Elsa Morante - Roma
testo di Elena Provantini
<< Centocinquant’anni di storia. "…La Bellezza, in Italia, riempie di senso anche l’assenza del fare. Ogni volto ritratto par dir di se stesso: “adesso ci sono”, “adesso ti amo”, “proprio ora il candore di questa mattina rende le cose a tal punto sconvolgenti che farsi travolgere dal desiderio così pienamente è facile e giusto come dimenticare o risolvere altrimenti se stessi e il proprio sentire più tardi”.
Non si tratta di facile voluttà passeggera, il momento presente non è membrana inconsistente tra prima e poi, è l’esistere stesso, l’attimo eterno che non si cura del poi perché vivere è già di per sé strumento perfetto del compiersi. L’”io” che l’Italia esprime, secondo Petra, è protagonista assoluto di questo singolare approccio al tempo. È un “io” maiuscolo, consapevole, per nulla contratto nel vivere appieno la bellezza, la grazia imbandita così generosamente dalla terra. Petra riflette sull'ordine gerarchico delle parole all'italiana, prepara tavole semantiche prima ancora di presentare foto. La lingua, spiega, rende meglio di qualunque altra cosa l’identità d’una nazione e quest’”io” italiano da cui tutto nasce e si ricrea è a tal punto regista centrale del nostro sentire le cose che solo dopo aver compreso individualmente il mondo permette a se stesso di divenire “noi”. Petra è curiosa e osserva l’Italia come un’ospite ghiotta. Il calore, il sole, il colore e l'odore delle cose basterebbero a ricompensare la chimera d'un tempo lento, d'un ritmo instancabilmente allacciato a tradizioni e saperi mai al tramonto: l’Italia è l’origine. … >>
...Molto ci sarebbe da dire per riempire un anno di celebrazioni, ma trecentosessantacinque giornate per tentare di farlo provano quanto sia difficile dire qualcosa, una cosa qualunque delle tante possibili, senza crollare nella retorica dei bei giorni di festa che troppo in fretta passano di mente. L’aggravante peggiore sta poi nel vizio, tutto italiano, di vivere la propria storia senza parteciparvi motu proprio se non per lasciarsi andare a quell’assurdo imbarazzo, divenuto quasi riflesso condizionato, che fa capolino nella nostra testa ogni qual volta si intenti un discorso sulla bandiera senza vederne appresso un campo da calcio. Orgogliosi si, ma solo se si parla di mettersi a sedere a tavola e il tricolore diviene, all’impronta, quel piatto di spaghetti che abbiamo di fronte. Poi, all’improvviso, giunge da lontano un ospite gradito che ci racconta chi siamo, ci prende per mano e ci legge la terra e il cielo che diamo per scontato e tutto torna nell’ordine corretto del valore. Petra de Goede, cresciuta artisticamente a Rotterdam, italiana oramai d'adozione, indaga l'intimo del nostro Paese, dalle arti agli elementi, dai volti alle espressioni semantiche, dall'io all'impronta della luce e del mare sul bagnasciuga. "Per me - spiega l'artista - prima ancora di arrivare, l'Italia era il desiderio della luce" e, raccontando di sé, ci invita tra scatti incorniciati di bianco. Sono linee incandescenti, riverbero immobile sulla sabbia: in natura durerebbero l’istante del ritrarsi d’un onda, qui la fissità dell’immagine le vorrà in attesa per sempre. Il sole gioca a farsi d’argento sulla spiaggia, la risacca del mare più calmo la stende come una tela e, prima ancora che l’impronta di luce scompaia, torna un broccato di spuma leggera a ricomporla. La luce. L’istante. L’Italia. Non vi sono molti luoghi oltre questo, spiega l’artista, dove si riesca a vivere l’attimo tanto liberamente da non perdersi in dimensioni distanti, senza finire per sentirsi, in altre parole, costretti a spegnere contemplazioni incantevoli per progettualità necessariamente opportune. La Bellezza, in Italia, riempie di senso anche l’assenza del fare.
Ogni volto ritratto par dir di se stesso: “adesso ci sono”, “adesso ti amo”, “proprio ora il candore di questa mattina rende le cose a tal punto sconvolgenti che farsi travolgere dal desiderio così pienamente è facile e giusto come dimenticare o risolvere altrimenti se stessi e il proprio sentire più tardi”. Non si tratta di facile voluttà passeggera, il momento presente non è membrana inconsistente tra prima e poi, è l’esistere stesso, l’attimo eterno che non si cura del poi perché vivere è già di per sé strumento perfetto del compiersi. L’”io” che l’Italia esprime, secondo Petra, è protagonista assoluto di questo singolare approccio al tempo. È un “io” maiuscolo, consapevole, per nulla contratto nel vivere appieno la bellezza, la grazia imbandita così generosamente dalla terra. Petra riflette sull'ordine gerarchico delle parole all'italiana, prepara tavole semantiche prima ancora di presentare foto. La lingua, spiega, rende meglio di qualunque altra cosa l’identità d’una nazione e quest’”io” italiano da cui tutto nasce e si ricrea è a tal punto regista centrale del nostro sentire le cose che solo dopo aver compreso individualmente il mondo permette a se stesso di divenire “noi”. Petra è curiosa e osserva l’Italia come un’ospite ghiotta. Il calore, il sole, il colore e l'odore delle cose basterebbero a ricompensare la chimera d'un tempo lento, d'un ritmo instancabilmente allacciato a tradizioni e saperi mai al tramonto: l’Italia è l’origine.
Divertita ci confessa: “Nel mio paese, nel nord dell’Europa, ci sono solo due modi per risolvere problemi di depressione: andare in analisi o partire per l’Italia”. Attraversando da nord a sud la penisola, lasciando semplicemente aperto un canale di ascolto, senza doversi sentire in obbligo di comprendere anche solo una sola parola della lingua, si può davvero riscoprire, secondo l’artista, la radice più profonda delle cose. Petra non è solo un’attenta osservatrice, quest’Italia che presenta e racconta è, per lei, molto più che un’indagine felice, un bel paesaggio di cui si può solo dir bene. Petra ama l’Italia e ogni creazione è diario sincero di questo sentimento appassionato. Partecipa al divenire degli elementi, riconoscendo al nostro paese un primato d'archetipi che vorremmo non sottovalutare: la terra è bionda di sole al tramonto, l'acqua è cristallina, il fuoco accende i legni, l'aria fa cantare le foglie. La roccia nuda torna alla vita e tocca i vertici del sacro: ‘La roche à fleur’ è l’anello da ricamo che ogni donna accoglie da bambina dalle dita di chi l’ha preceduta, è l’arte che non si apprende, è l’arte di vivere bene, allacciata strettamente alla terra, al dato mistico della propria esistenza di donna che per istinto sa che dalla propria carne verrà la vita. Viaggiamo con l’artista, una foto alla volta, nel cosmo altro dell'italianità, quel complesso, unico nel suo genere, che definisce l'appartenenza al Paese prima ancora del sentirsi Nazione, per mezzo e tramite un sostantivo che non conosce paralleli nel vocabolario comune d'altre nazionalità. Fotografa le madri e le incastona in quadri rosso sangue: - E’ il colore della tradizione – spiega. Le donne italiane si raccontano tacendo, mostrando le loro case, le loro gonne, la pienezza delle carni, l’ordinario straordinario del vivere sulle proprie forze fertilità e tradizione, racconto e continuità, sogno e ritorno ad un tempo lontano, carico di canti e metriche latine. L'Italia di Petra ha bisogno di dimensioni raccolte, mai cariche, mai gridate, perché una foto che occupi una parete intera correrà incontro al visitatore cercando comunque di forzarlo, mentre la scelta d’un cameo discreto, poco più grande d’una stampa da laboratorio, di quelle che ritiravamo con piena curiosità due tre giorni dopo aver consegnato un rullino finito, lascia che ci si avvicini a sbirciare, con la voglia di chi stringa in mano una lente e un gioiello, come si farebbe dalla serratura del giardino degli aranci. ... Maurizio Pio Rocchi s'accosta a questo narrare e vi si allaccia silenzioso, accogliendo i brani fotografici dell'artista olandese tra pennellate veloci e tricolore generoso. L’ospite non è più solo: al suo fianco arriva un protagonista nuovo che vive l’Italia quale italiano e diviene per Petra marito, consorte, famiglia. Maurizio completa il racconto iniziato o lo incomincia a modo suo da capo: l’uno cede all’altra metà del fraseggio d’amore e viceversa, restando in ascolto, tenendo in custodia metà delle pagine bianche. Nessun inizio. Nessuna fine. L’esposizione non conosce sensi obbligati o percorsi consigliati al pubblico...